martedì 14 Maggio 2024
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Ti prego, calami le mutande che ho voglia di te

Corteggio una donna. Bella come il sole. Affascinante come la maga Circe. Pronta, ironica, caustica e intelligente come Oriana Fallaci, dotata di un airbag siliconato con una misura extra, cosce pronte per il test di Cooper, un viso a prova di acido ialuronico. Insomma, una come piace a me. Sì, me gusta, lo sussurra anche il mio cuore. Mi lascio invitare a un aperitivo, accampando diverse scuse in precedenza, simulando una timidezza che in verità ho smarrito dopo gli esami della quinta elementare. Ordino un tramonto per due, vista mare con le onde crespe d’argento, con alle spalle il tappeto di corbezzoli e mirto immobile e lussureggiante come macchia mediterranea comanda, a lato un cielo screziato di indaco salmonato, più due calici di Moscato ghiacciato. Parliamo del + e del -, prima è l’io che domina, poi le domande ‘e tu?’, poi ‘ah, che bello’, infine passiamo a un confidenziale ‘noi’. La spiaggia è diventata deserta, il mare è grigio ma non stinge il blu dell’estate. Mi sento come il tenente Drogo, in una perenne attesa per un sì. Il sì, per i neofiti, è il bacio. Quella bella parentesi tra le parole ti amo (da adolescenti) o quella pausa tra i vaffanculo d’ordinanza (da adulti). Abbiamo parlato così tanto che ci siamo isolati dal mondo circostante, sembriamo due romani a Ferragosto in centro. Lei accarezza le mie dita. La invito a seguirmi, indugiamo tra gli ombrelloni insaccati che paiono francescani incappucciati in processione, poi vinco ogni ritrosia e la convinco a rincorrermi tra le cabine di legno, dove anche di notte si respirano i rumori del giorno. Effusioni, carezze, baci, le dita che si intrecciano, l’odore della pelle, saliva che sbava, poi lei, al colmo dell’eccitazione mi fa “calami le mutande, che ho voglia d te”. Calami le mutande?! Come calami le mutande? Magari, toglimi le mutande (meglio, mutandine, semmai). Insomma, sapete la memoria implicita che scherzo mi ha combinato? Mi ha scaraventato nel vortice dei ricordi di quando in prima media l’insegnante di educazione tecnica, tra maggio e giugno, con il caldo asfissiante che spifferava in aula, s’alzava la gonna, la sottana, si sfiorava i collant e poi si grattugiava (non mi viene un termine migliore per descrivere quell’azione continua e pruriginosa) gli inguini. “Raga, fa caldo, mi si cala tutto qua” strascicava in un slang trasteverinogiulianese che al confronto chi comunica col lunfardo è uno studente oxfordiano. Era talmente brutta che nemmeno un marinaio in astinenza sessuale dopo aver compiuto il giro del mondo in ottanta giorni l’avrebbe sedotta sull’amaca. Non aggiungo altro, indovinate la mia avventura da Casanova com’è terminata.

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