lunedì 13 Maggio 2024
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Il racconto. Amore e morte a Casablanca

Tanto valeva smarrirsi nelle vie labirintiche della medina, distrarsi in qualche locale e approcciare con qualche mercante mostrando con aria distratta la foto di Dounia. Si fissò su una vetrina di un locale di tappeti, sorrise a se stesso: biondo, occhi verdi, carnagione chiara, aria da uomo che non ama le sorprese. Come poteva procedere con domande sulla giovane marocchina senza destare sospetti restava un mistero. Forse in un momento di difficoltà come quello l’ideale sarebbe stato essere sinceri, ripassò mentalmente il suo pessimo francese scolastico e cominciò a creare un’architettura narrativa che vedeva i due giovani innamorati divisi dall’avversione del ministro. Gli sembrava una buona idea e con il fattore fortuna avrebbe anche potuto ottenere informazioni maggiori di tutte le ipotesi che ogni dieci minuti il petulante Peter gli inviava tramite sms.
Sì, esatto, lui era il fratello di Peter. Okay, la vedi che splendore questa ragazza? Sì, questa qui della foto. È innamorato pazzo di lei. E vogliono sposarsi, ma il padre di lui, cioè nostro padre, è contrario al matrimonio. E lei è fuggita, impaurita. Io sono arrivato qui, spinto da mio fratello, per riportarla a casa per coronare quel sogno d’amore infranto. È importante che io abbia qualche notizia, capisci?
Era stato due ore a sorridere, cercare sguardi pietosi, elemosinare tracce. Olsen era sfinito e non aveva cavato una sola notizia utile alla sua ricerca. Del resto era come cercare un ago gettato nel Mediterraneo durante le guerre puniche, questo aveva ribadito al ministro mentre però arraffava l’assegno con tanti zeri. Quel labirinto di viuzze poi nella medina gli aveva creato ulteriore confusione tra gli odori di borse di cuoio e l’aroma dei sacchi di spezie, amplificati dalle inondate di incenso, sbuffò e decise di fumarci su. Intercettò un Garibaldi dalla giubba ma una gomitata lo spinse quasi contro un muro. Fu investito da una zaffata intensa di mirra e vaniglia. Si rabbuiò ma il sorriso di una giovane seminascosta in un chador che accennò delle scuse lo calmò.
S’appoggiò a una parete e soffiò fumo e frustrazione. Seguì con lo sguardo l’ancheggiare frenetico della giovane che veniva inghiottita in un portone. Decise di seguirla. Chiamatelo intuito del segugio stanco o sesto senso dell’investigatore avvilito in trasferta oppure, se volete, imprecò dentro di sé Olsen, una disperata parabola ellittica appartenente al pensiero laterale.
S’intrufolò in un cortile con quattro palme a ombreggiare gli angoli: un gruppo di ragazzini prendeva a calci un pallone, due anziane sedute su una panchina sonnecchiavano, tre gatti si contendevano un brandello di un bocadillo, buttò lo sguardo in alto e osservò le finestre senza infissi che s’affacciavano in quello scorcio di mondo. S’armò di coraggio e varcò il portone smussato. Avvertì la scia di quel misto di mirra e vaniglia, ingoiò i gradini sbeccati salendo al primo piano, origliò gemiti soffocati di piacere, socchiuse gli occhi e si lasciò rapire da quel profumo che lo aveva travolto in strada. Salì altri gradini, ascoltò altre effusioni, sorrise amaro. Stavolta le tracce delle essenze era forte, spalancò una porta in legno, s’addentrò lungo un corridoio buio e s’arrestò davanti a un balcone. S’affacciò, vide i lunghi filari delle palme del giardino botanico, poi seduta su un marmo bianco la giovane che lo aveva spintonato al mercato.
Olsen tirò col naso, tossicchiò e recuperò un altro ammezzato dalla giubba. Se lo portò sulle labbra e gettò lo sguardo sulla ragazza. Quella lo fissò e gli sorrise stancamente. Penetrò la giovane in quegli occhi d’ebano cercando di scavare fino chissà dove. Vi lesse sgomento, angoscia, paura. Lei si lasciò scivolare il chador e apparve in quella cascata di ricci all’hennè.
– Dounia… – ingoiò saliva e sorpresa, col cuore che s’era lanciato più veloce di un treno sui binari di Casa Voyageurs.
– Bryan… – e lo avvinghiò stringendogli le braccia sul collo tatuandogli un bacio caldo sulle labbra – Mi hai trovata, finalmente…
Bryan Olsen sospirò e gli cadde il sigaro sul pavimento a mosaico. Si sorprese nel masticare quell’umore malinconico che lo aveva investito alla bocca dello stomaco intriso di passione e virilità. Aveva amato Dounia, ma era stata una storia breve come lo sbadiglio di una farfalla asmatica: lei gli aveva voltato le spalle per Peter, anche se poi l’amore aveva avuto il sopravvento e lei aveva deciso di fuggire da quella vita ovattata che le avevano prospettato. Ma Bryan era stato irremovibile davanti alle lacrime della donna che in ginocchio gli aveva chiesto perdono. Ma lui, no, non l’avrebbe perdonata mai. E lei aveva detto addio a quel mondo. Ma mai Olsen si sarebbe immaginato che potesse ricevere l’incarico per rintracciarla. Un servigio pagato profumatamente.
Olsen raccattò l’ammezzato e se lo riportò tra le labbra. Incrociò le braccia e s’appoggiò al muro fissando le lacrime di Dounia. Ormai s’era fatto un quadro più chiaro delle luci di piazza Mohammed V: avrebbe strappato il biglietto di ritorno per Copenaghen, si sarebbe lasciato inghiottire dalla notte stellata e perdonato Dounia. Nella tasca della giubba sfiorò l’assegno da diversi zeri che il ministro aveva autografato e s’aprì a un sorriso. Poi tese la mano verso Dounia, la strinse a sé con tutta la follia d’amore di cui era capace e sghignazzò ebbro di felicità nell’aria calda di Casablanca.

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