mercoledì 15 Maggio 2024
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Manco ‘n Papa può eguagliare i 30 anni di romanità di Totti

L’ottavo re di Roma è stato sempre un ruolo scomodo. Più che sedersi al Colosseo per agitare il pollice durante panem et circenses è stato sempre fatto accomodare sulla rupe Tarpea, pronto per voli mortali. La conferenza stampa dell’addio di Francesco Totti alla Roma come dirigente apre a varie contrastanti riflessioni. Da un lato ricorda il sofferto e recente strappo della società giallorossa a un’altra bandiera come Daniele De Rossi, considerato anagraficamente inadatto per un altro campionato di serie A, un po’ come quanto accaduto per il Pupone, ma è anche vero che sarebbe pessimo assistere a un tunnel che ti rifila in campo il primo degli imberbi. Dall’altro lato, è l’ennesima testimonianza che il calcio di oggi ammaina le bandiere in nome dello show business calpestando emozioni e nostalgie, fottendosene che i colori della maglia per la gente siano più importanti degli affari. Se si arriverà a eliminare il fattore umano (leggi, il tifo, cioè la ridda di sentimenti e sfottò, anima da sempre del pallone) trasformeremo questo sport in un ordinato agone tecnico e tattico, bellissimo a vedersi, ma più adatto al teatro che allo stadio. Totti mi ha emozionato, un po’ come 18 anni fa, quando sempre il 17 giugno la sua Roma ha vinto l’ultimo scudetto giallorosso: a un certo punto sembrava Alberto Sordi che si rimpallava tra l’interpretazione del soldato Oreste Jacovacci ne ‘La Grande Guerra’ a Gasperino il carbonaro ne ‘Il marchese del Grillo’. Un autentico spasso per genuinità e spontaneità, dai ‘io non so niente ahò’ ai ‘a me non m’ha detto niente nessuno’, riferendosi alla sua mancanza di coinvolgimento come dirigente, fino a “ora cambio aria. Alla Juve? Ahò, mo’ non esagerà” passando per “ognuno c’ha i problemi suoi” rispondendo a una giornalista di fede laziale. Certo, se ne va un altro pezzo de’ core de’ ‘sta città, ma è la vita e il destino, è Kronos che corre, che mastica e che ingoia, che digerisce e che poi espelle. Resta un’eredità pesante da raccogliere, perché l’eguagliare trent’anni di romanità di Francesco non può riuscire manco ‘n Papa.

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