sabato 18 Maggio 2024
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Recensione. Romanzo on the road con personaggi autentici in un’Italia evocativa

la recensione di Diego Zandel su https://www.thrillermagazine.it/18942/in-viaggio-con-la-morte

“In viaggio con la morte”, l’ultimo romanzo di Gian Luca Campagna, edito da Mursia e uscito nella collana Giungla Gialla, è un giallo? Sì, perché indaga su un omicidio avvenuto dieci anni prima al Pigneto, quartiere della movida notturna a Roma, di un giovane diciannovenne, Luigi Cataldi. Un cold case ancora aperto, ostinatamente seguito da uno dei protagonisti del romanzo, il giornalista di un quotidiano romano all’epoca cronista di nera, Gianni Colavita.

“In viaggio con la morte” è un giallo? No, è un romanzo on the road di un uomo, lo stesso Gianni Colavita, che viene chiamato dalla mamma del ragazzo diciannovenne ucciso al Pigneto dieci anni prima, malata di cancro e che vuole essere accompagnata da lui in Svizzera per sottoporsi a una morte per eutanasia. Lo ha scelto perché è stato, a suo tempo, l’unico cronista che si è impegnato nella ricerca della verità, più ancora della stessa polizia e magistratura che si è arresa all’archiviazione.

Lungo la strada che da Roma porta a Lugano, i due faranno cinque tappe in cinque luoghi, ciascuno legato a un desiderio, gli ultimi cinque della sua vita, della donna. Era, questa, anche una delle condizioni perché lui la accompagnasse. Incontri, conversazioni, cibo e vino, ricordi, emozioni, filosofia, avventure, in un continuo confronto tra i due caratterizzeranno un viaggio dalle molte sfaccettature.

Il risultato è un romanzo a 360 gradi, in cui l’elemento giallo, nel ricordo da parte di Gianni Colavita sulle sue indagini di dieci anni prima, si alterna nelle pagine all’elemento on the road per fondersi nel finale, dando un senso al tutto, con l’ultimo desiderio della donna, che lasciamo ai lettori.

In questo senso, “In viaggio con la morte” – insieme a “Finis terrae”, ma aggiungerei anche “Molto prima del calcio di rigore”- è forse il romanzo più maturo di Campagna, tratteggiando personaggi autentici, con una loro personalità non assimilabile ad altri, sullo sfondo di un’Italia popolare e aristocratica insieme, che raccoglie nel suo viaggio ricchi elementi di vita, come il cibo e il vino, ma anche il sesso e l’amore, quale significativo controcanto alla meta finale della morte. Soprattutto con la figura del protagonista, il giornalista Gianni Colavita, siamo alla presenza di un personaggio lontano dagli schemi usati da Campagna in altri suoi romanzi, di personaggi oltre le righe, caratterizzati da elementi di distinzione caratteriali, eccentrici nello stile di vita, con qualche vizio, fumo o alcool o altro, ma di forte moralità, spavaldi e malinconici insieme, tanto fedeli alla ricerca della verità che perseguono al punto da mettersi contro chiunque, se necessario anche contro la legge e ogni finto perbenismo. Personaggi che dal Philip Marlowe di Chandler in poi, passando per il Carvalho di Manuel Vasquez Montalban, hanno segnato la narrativa noir, e anche molti film, del Novecento, finendo per creare uno stereotipo, a cui poi ogni autore aggiunge qualcosa di suo, dettagli che servano a renderlo diverso. No, Gianni Colavita è un personaggio a sé, autentico anche nelle sue debolezze: lo vedremo piangere, che ai soliti duri non è dato: è un uomo, e che forse si è tirato indietro per proprio tornaconto personale.

Naturalmente, ci sta in uno scrittore professionista come Gian Luca Campagna, affezionato al suo pubblico e al suo mondo, che accompagni, come altri autori, le loro opere letterarie a quelle più marcatamente commerciali, che comunque, nel suo caso, rivelano sempre solida scrittura e spessore narrativo. D’altra parte, come si usa dire, la classe non è acqua. Mi viene in mente Graham Greene, che alle opere di maggior caratura letteraria affiancava quelle che lui chiamava divertissement, e si riferiva, nientemeno, che a romanzi come “Una pistola in vendita” e a “Il treno di Istanbul” o a “Il terzo uomo”, nato addirittura, quest’ultimo, come sceneggiatura dell’omonimo film di Carol Reed con Orson Welles e Alida Valli.

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