lunedì 20 Maggio 2024
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Quel calcio di Di Francesco profuma di letteratura

La bellezza del calcio a volte sta nello sguardo di chi lo vive in prima persona.
Dentro ci leggi un mondo.
Ho gustato l’esultanza sin troppo a lungo covata da parte di mister Di Francesco dopo il fischio finale di Frosinone-Atalanta. Vivere per un allenatore un’assenza di vittorie lunga 20 partite è come impedire a Rocco Siffredi anche di sognare una bella donna. Per DiFra è stato un ritorno alla realtà, l’inizio dell’incubo era cominciato il 7 novembre 2020 (Cagliari-Samp 2-0), era aC, che sta per anteCovid, terminato appunto il 27 agosto 2023, dC, dopo Covid.
Perché mi collego alla fisiognomica di DiFra nel match vinto contro l’Atalanta? Perché il viso del tecnico ciociaro subito dopo la fine della partita di Udine era perplesso. Esatto, i tratti del viso avevano assunto la posa di chi non s’aspettava quel finale. E infatti, in sala stampa il tecnico dirà che negli ultimi minuti aveva inserito Caso e Cuni proprio per vincerla, non solo per allungare la squadra e tenere la palla lontana da Turati. Esatto. Di Francesco aveva appena capito che con un pizzico di divina fortuna poteva uscire dalla Dacia Arena coi tre punti.
Insomma, come diceva la buona Agatha Christie, tre indizi ormai fanno una prova: il Frosinone coraggioso al debutto contro il Napoli, quello sontuoso che ha sorpreso la brigata del Gasp, quello che dava l’impressione di segnare appena affondava a Udine, questi tre atti delle prime tre giornate ci consegnano una squadra che ha tradotto la filosofia di DiFra in libera leggera e, permettetemelo, logica.
Il Frosinone a Udine è uscito dalla sua area mai sparando il pallone alla viva il parroco, la razionalità data da DiFra ai suoi uomini conosce il nome del play basso Barrenechea, ma anche la pertinenza espressa da Gelli: il tecnico gli dice ‘affianca Mazzitelli e lui sembra che fa la dama di compagnia, gli ordina di posizionarsi sulla fascia destra e lui fa l’ala con 4 polmoni, gli intima di piazzarsi nella terra di mezzo e lui fa l’interno, il mediano e l’incontrista’. Morale: cari osservatori invece di macinare chilometri fino in Scandinavia o nell’Africa nera spostatevi con una gita fuori porta in qualche campetto di serie C, magari troverete talenti inespressi come Gelli che fino a 6 mesi fa non avevano mai respirato nemmeno la serie B.
La voglia del Frosinone, della sua terra, del suo presidente, di restare in serie A al terzo tentativo si sposa con la voglia di rivalsa che abita l’anima di Di Francesco. Lui ha detto di no in più di qualche circostanza, poi però si contraddice quando afferma che questo per lui è l’anno zero. Crediamo che lui stia vivendo questo momento a pane e calcio, studia i dettagli degli avversari, ha in rosa giocatori che nessuna provinciale più permettersi, si sfrega le mani perché se prima qualcuno ha definito il Frosinone un’allegra brigata di esordienti, poi un satellite del Sassuolo e adesso una colonia della Juventus, DiFra fa un po’ come il grande chef che prepara, cucina e impiatta delikatessen con i prodotti che trova in frigo. Solo che oggi lavora in un’osteria. Ma va bene, dopo i ristoranti stellati è tornato alle origini. Un ritorno all’umiltà ti rafforza, non ti umilia.
Eh sì, forse non ha tutti i torti, DiFra. In terra friulana, è mancata la zampata del centravanti, è mancato il tapin di Cheddira, il doppio passo di Caso, la sgommata finale di Cuni. Sì, è mancata la poesia del gol, qualcuno diceva che “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. Lo diceva PierPaolo Pasolini. Ma il pensiero, la leggerezza, la teatralità del Frosinone targato Di Francesco oggi profuma di letteratura.

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