mercoledì 8 Maggio 2024
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Intervista. Il noir per raccontare il diritto alla morte

Intervista su news-24.it

Il nuovo romanzo di Gian Luca Campagna tra viaggi, vita ed eutanasia | news-24.it

 

Tra pochi giorni uscirà il nuovo romanzo dello scrittore Gian Luca Campagna, dal titolo ‘In viaggio con la morte’ (Mursia).
La trama è intrigante come i romanzi cui ci ha abituato lo scrittore nato a Latina. Siamo a Roma, oggi. Carla, vedova e malata terminale, contatta il giornalista Gianni Colavita che dieci anni prima ha seguito l’omicidio rimasto irrisolto del figlio. La richiesta è insolita quanto la convocazione: la donna gli chiede di essere accompagnata nel suo ultimo viaggio a Paradiso, nella Svizzera ticinese, dove ha prenotato il suicidio assistito in una clinica della dolce morte. Determinato a risolvere il vecchio delitto, sebbene dilaniato dai dubbi, il cronista decide di assecondarne le volontà e accetta ma solo a patto che il viaggio si trasformi in un’avventura per esaudire gli ultimi cinque desideri di Carla. Così, a bordo di una spider, la strana coppia inizia a collezionare frammenti di un puzzle che li riporterà ai fatti di dieci anni prima. Toccheranno Acquasparta per assaporare l’ultima cena nel casale d’infanzia della donna, quindi arriveranno al borgo medievale di Bòlgheri, per proseguire per Venezia sulle tracce di un antico libro fino a toccare le spiagge della Normandia. E poi la Svizzera, per esaudire l’ultimo, disperato, desiderio di questo tour della morte. E risolvere finalmente il caso del figlio assassinato 10 anni prima.

Perchè un romanzo del genere?

Il romanzo per me resta impegno sociale. Così, sì confeziono una storia nera ma affronto una tematica divisiva come quella dell’eutanasia, questo perché nel tempo ho maturato l’idea che la narrativa non può ridursi solo a essere cassa di risonanza per un intrattenimento fine a se stesso, credo nell’efficacia della letteratura, che pone sul piatto delle discussioni temi importanti affrontati con un minimo di leggerezza e con la forza della seduzione, proprio per incoraggiare i lettori più ritrosi. Lo scrittore deve affrontare temi attuali, anche scomodi, prendere posizione, non solo raccontarli, non ci si può solo specchiare in ciò che più piace ma avventurarsi anche su sentieri inesplorati.

Perché hai deciso di scrivere un romanzo giallo per affrontare un tema così importante?
‘In viaggio con la morte’ ricorda un po’ i classici alla Cornell Woolrich, ma se vogliamo colorare i romanzi per facilitare la collocazione negli scaffali delle librerie o per andare incontro ai gusti dei lettori allora non ho difficoltà a dire che il mio romanzo è un noir a tutto gli effetti, dove a un certo punto non capisci più chi sono i buoni e chi i cattivi, dove l’amore non è solo rosa, dove nel perverso e farsesco gioco della vita nessuno è mai del tutto innocente: ecco perchè è il genere che più rispecchia la vita reale, ha a che fare con i nostri slanci eroici ma anche con le nostre fragilità nascoste. Poi l’eutanasia abbraccia Eros e Tanatos per definizione, è un Giano bifronte in cui assistiamo a uno scontro tragico tra il diritto alla vita e il diritto alla morte. Non affrontare questo tema in modo serio è abbracciare la strategia dello struzzo quando è in pericolo.

Il noir resta la tua bandiera narrativa?
Sì, proprio perchè è il modello narrativo più credibile rispetto alla vita stessa. Non è un caso che il genere noir è quello che più influenza i miei scritti. Quando mi fanno notare che è un sottogenere del giallo rispondo citando ‘Edipo re’ di Sofocle, con una storia che è lirismo e trama tragica, dove l’ineluttabilità del destino, griffe del teatro classico, si è tramandato con straordinaria efficacia fino a noi. Altro che sottogenere, è ‘il’ genere.

Ti sei ispirato a una storia vera?
Per la costruzione dell’architettura narrativa ovviamente sì. Quando comincio un romanzo gli spunti iniziali sono sempre due: un fatto di cronaca reale, perché la realtà resta la miniera più grande da cui ricavare pepite di storie, e poi il finale, che deve colpire come un pugno nello stomaco il lettore così da lasciarlo senza fiato. Per il canovaccio di questo romanzo sono partito dalla lotta di Dj Fabo, ormai tetraplegico, per ottenere una fine dignitosa dopo una vita vissuta ad alti livelli, e da una storia di cronaca nera romana: non so se vi ricordate quando nell’ottobre 2019 un ragazzo, Luca Sacchi, fu ucciso per oscuri motivi davanti a un pub, dove stava con gli amici e la fidanzata, l’ucraina Natascia. Poi, dopo qualche settimana abbiamo scoperto i segreti di quello che appariva come uno scambio di persona.

Chi è Gianni Colavita?
È un cronista di nera, ma si occupa anche di sport e di cronaca bianca. È un tappabuchi, un precario, uno di quei tanti aspiranti giornalisti che girando come le trottole per la propria testata sperando un giorno di essere assunti. Facile immaginare che possa essere il mio alter ego, certo ci sono delle analogie ma stavolta mi sono specchiato solo in parte. Alla fine ogni personaggio mi somiglia, a ognuno cerco di dare un po’ della mia anima: per assurdo, mi somiglia anche la cameriera che, comparendo solo in un rigo e in una battuta, serve una tazzina di caffè ai protagonisti.

E Carla, la donna che decide di suicidarsi in una clinica svizzera?
Carla mi ha sorpreso. È uno di quei casi in cui un personaggio che disegni poi diventa di carne, passione e sangue, ha preso una brusca virata durante la storia, si è ravvivato e poi ha preso il sopravvento, mi è sfuggito tra le mani diventando autonomo, indipendente, reale. A un certo punto Carla ha cominciato a muoversi da sola, non ubbidiva più a quello che inizialmente avevo in mente, così ha preso forza. Quando ne scrivevo la sentivo vicina, riuscivo a sentire il suo dolore, la sua disperazione, le sue speranze, la sua volontà di andare fino in fondo. Poi, c’è stata la grande virata nella storia, al desiderio di morte si è contrapposto l’amore, che in questa storia è esploso in modo così inaspettato.

Sei a favore o no dell’eutanasia legale?
Nasciamo con i valori cristiani e cattolici, per formazione abbiamo frequentato le parrocchie, poi però la vita ti porta a misurarti con l’ignoto, così studi, approfondisci, viaggi, conosci mondi e culture differenti. E quando ti crei l’apertura e l’elasticità mentale per cercare di capire altro ecco che qualche domanda in più te la poni e cerchi così anche risposte non di comodo e meno omologate. Così, se esiste un sacrosanto diritto alla vita esiste anche un legittimo diritto alla morte di chi ha deciso di porre fine a se stesso. Ci sgoliamo dicendo che le scelte sono individuali e vanno rispettate, poi di fronte a grandi temi tutti tremiamo perchè ci domina una paura ancestrale.

Hai ambientato la storia a Roma e poi sposti i protagonisti anche in altri posti.
Un lettore mi ha definito uno scrittore on the road. Ed è vero, faccio mia questa definizione, mi piace. Il viaggio, e non la meta, parafrasando una banalità, è la vera meta. Gianni e Carla partono da Roma, ma già girando come dei pesci in una palla lungo il Raccordo Anulare emerge quella voglia di fuga da un tracciato già stabilito: va bene, la meta finale è Paradiso, ma prima di arrivarci proviamo a divertirci un poco. Così nascono anche mete inusuali per quel tipo di viaggio, arrivando addirittura sulle spiagge della Normandia.

Scrivere per te è…?
Liberazione, catarsi, viaggio, confronto, collegamento. Scrivere è vivere. Mi immagino sempre come il protagonista raffigurato nel dipinto di Caspar David Friedrich dal titolo ‘Viandante nel mare di nebbia’: davanti c’è un mondo da scoprire. Anche di emozioni. L’ignoto non può far paura, è lì apposta per essere conosciuto.

Latina è la tua città: tra mille polemiche è andata in finale per aspirare a diventare Capitale della cultura 2026. Cosa ne pensi?
È una città coerente: manca sempre ogni occasione per crescere, puntualmente manca gli appuntamenti per dare una sterzata alla sua storia, e la colpa ovviamente ricade sui suoi cittadini, nessuno escluso. Il culto dell’individualismo qui è particolarmente sentito, si estende poi nell’autoreferenzialità divenendo contagiosa, non c’è quel senso di comunità che magari trovi in altri centri della provincia, così capisci che è proprio il Dna dei latinensi. Sì, d’accordo è perchè non ha nemmeno un secolo di storia ma questa giustificazione mi ha stancato ed è troppo indulgente rispetto a un’incapacità di fare rete comune, dove ognuno si sente diverso e migliore degli altri, dove non si accetta che per raggiungere un risultato qualche volta non dovremmo essere noi i protagonisti ma qualcun altro, non capiamo che la vita a volte significa fare passi indietro e laterali, essere gregari. Invece no, vogliamo tutti aspirare a un ruolo alla Don Chisciotte e rifiutare di vestire i panni per una volta di Sancho Panza. Così, molti non hanno capito che questa candidatura poteva rappresentare un punto di partenza, non un punto di arrivo.

Torneremo a leggere una storia con il tuo personaggio seriale, il detective italoargentino José Cavalcanti?
Affrontare orizzonti illimitati mi manca. Mi manca il viaggio nel senso più ampio del termine, dove i confini non esistono, dove la linea dell’orizzonte da raggiungere significa scavalcarla per proseguire a viaggiare. José Cavalcanti rappresenta tutto questo, ne è l’emblema. Sono affetto dalla wonderlust, c’è poco da fare, questo vale anche per la vita ordinaria. Ma per rispondere alla domanda, sì, Cavalcanti tornerà con uno straordinario viaggio e una fantastica avventura. Come lo è la vita.

 

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