martedì 14 Maggio 2024
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Come non si fa a parteggiare per il più debole?

Ci risiamo. La convocazione è avvenuta nel peggiore momento dell’anno. Prima di Ferragosto. Durante quei giorni terribili in cui la conca ciociara s’era trasformata in una pentola in ebollizione continua, che a confronto le islandesi Geyser e Strokkur erano due location da refrigerio. Mi chiamano dai vertici aziendali con tono marziale e autoritario, luogo dell’incontro è la redazione del giornale. Quando la convocazione avviene in un periodo caldo dell’anno ti devi preoccupare già di tuo, la fettuccia da Latina a Frosinone è già di per sé bollente senza le temperature da solleone. La canicola ti strangola in auto, chissà perché presso Prossedi il condizionatore dell’aria fredda va in tilt, poi una pacifica invasione di un gregge di pecore staziona sulla Monti Lepini, il ritardo si accumula, i bar lungo la tratta sono chiusi, non c’è un’oasi, mi verrebbe quasi voglia di telefonare al Mago di Alatri per chiedere cosa mi possa capitare oltre, quasi stia vivendo una sorta di parodia di Jack and Elwood dei Blues Brothers. Mi aspetto da un momento all’altro anche l’invasione delle cavallette (cit.), ma siamo in Ciociaria, nè in Egitto né in Illinois. E questo per ora mi potrebbe anche bastare. Ma tant’è. È lavoro, mi ripeto come un mantra. È lavoro. Professionale. Sii professionale, mi ripeto.

Arrivo a destinazione seppure con un ritardo accademico. Il motivo della convocazione non fa una piega rispetto a quello dello scorso anno. Noto anche un sadico sorriso sulle labbra dei due, ma in questo momento storico loro sono furioso martello e io fragile incudine. Certo, lo immaginavo. I canarini li ho seguiti nel trionfale campionato di B, mi toccherà seguirli anche ora in A. Be’, me lo sono quasi meritato sul campo, mi verrebbe voglia di controbattere, ma sono sempre un tifoso nerazzurro (del Latina, non dell’Inter o dell’Atalanta), quindi trattengo a stento la sacrilega frase. Così rivivo il finale del film della scorsa stagione: dalla promessa al Mago di Alatri alla scommessa coi ragazzi del Bar Caffé 81, quando con l’intercessione dei Leoni del Benito Stirpe, a qualche minuto dal fischio dell’epica Frosinone-Genoa ho consegnato una bottiglia di bollicine, che verrà stappata solo se la squadra giallazzurra -per la prima volta- si salverà e manterrà la serie A con un brindisi congiunto.

E poi, maledizione, c’è un altro aspetto che non avevo considerato. L’animo umano resta quello dell’underdog, di chi vive la vita conquistandosi pezzo dopo pezzo un poco di soddisfazioni (fisiche, materiali e sprituali), quindi da sempre ho abbracciato le sfide impossibili, tifando per Davide e giammai per Golia, sostenendo le cenerentole e gli sfavoriti perchè le cose conquistate sudando hanno un sapore migliore. Così se lo scorso anno, nel campionato di serie B, guardavo con un’indifferenza mista a sufficienza le gesta di un Frosinone grande favorito al salto di categoria, in questa stagione sarò costretto a rivoluzionare l’approccio a ogni partita: come non parteggiare per quello che teoricamente è più debole rispetto a un gigante dal nome altisonante come Juventus, Milan, Napoli e finanche Atalanta, Udinese, Bologna? Come si fa a non parteggiare per quella provinciale che in mezzo a un mondo di metropoli e grandi città prova a resistere, a sovvertire le regole, a cancellare le convenzioni, a distruggere le omologazioni? Eh, come? Come si fa? Come si fa a non tifare per i ‘ribelli’? C’è il fondato rischio che quell’indifferenza potrebbe trasformarsi in simpatia e finanche in empatia. Insomma, seguire il Frosinone nel cammino della serie A per l’agognata salvezza sarà un duro lavoro. Spiritualmente parteggiando.

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