mercoledì 15 Maggio 2024
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In Arabia Saudita i diritti umani passano in nome dello sport?

Lo sport  veicolo di libertà civili? L’Arabia Saudita scommette sulle discipline sportive per aprirsi all’Occidente o sono soltanto manovre economiche? Dal tragico caso Khashoggi al rally Dakar fino ai Mondiali di calcio a dicembre 2022 in Qatar, altro Paese della penisola arabica.

Lo sport è sport e non deve interessarsi dei diritti umani. Lo sport è sociale, abbraccia ogni età, elimina distanze sociali, quindi deve occuparsi anche dei diritti umani. Bel dilemma, eh? Alla fine, ogni aspetto della vita è sociale. E guai se non lo fosse. In questi giorni si sta svolgendo il rally più pazzo del mondo, cioè la Dakar, giunta alla 43ma edizione, che dopo un decennio trascorso sulle rotte sudamericane, da due edizioni staziona in Arabia Saudita. Un Paese che proprio non è un campione di diritti umani e non fa nulla per nasconderlo, nel senso che proprio dietro pressione dei media occidentali allora concede qualche spicciolo di diritto naturale ai propri sudditi. E se analizziamo alcuni dati l’asse sportivo dei grandi trofei, e quindi gli interessi economici, si sono ormai spostati verso la penisola arabica.

Prima di scorrere i grandi trofei sportivi, ricordiamo il clamoroso caso della morte di Jamal Ahmad Khashoggi, giornalista critico nei confronti di Riyad, e fatto a pezzi nell’ottobre 2018 all’interno della stessa ambasciata in Turchia. 

Allora, a Gedda si sono disputate due finali della Supercoppa italiana, che comprendono il pacchetto delle tre edizioni spalmate nel 2018-2023, che fruttano oltre 7 milioni di euro al nostro calcio. Perché questo orientamento arabo? Non tanto per i soldi quanto piuttosto per cercare di esplorare mercati che promettono molto, che intanto però aprono anche delle piccole fessure di speranza in quella società, poiché le proteste italiane sono state accolte dal governo arabo che nella finale della scorsa edizione aprì un settore dello stadio alle donne, cui sistematicamente vengono negati anche i diritti più basilari. Anche la Spagna ha ceduto lo scorso anno alle attrattive del calcio giocato a La Mecca, addirittura con un mini torneo che vedeva inevitabilmente la presenza di Real e Barcellona, incassando 40 milioni.

Ancora, abbiamo forse dimenticato che a dicembre 2022 si svolgeranno in Qatar i Mondiali di calcio, Paese comunque inviso al resto della penisola arabica per motivi politici e per questo soggetto a embarghi? Cioè in una data completamente piegata alle esigenze climatiche (ed economiche) del Paese ospitante? Frutto, lo ricorderete, anche di inchieste, arresti e sospetti su un sistema di corruzione messo in piedi dai vertici dell’emirato qatariota che ha coinvolto le massime figure della Fifa. Senza contare che nell’estate 2019 i puristi del calcio guardarono con scetticismo all’edizione della Coppa America con la presenza del Qatar (e del Giappone), che non è che appartengano proprio a quel continente.

Ancora, ma giusto per dovizia di dettagli: il governo di Riyad guarda allo sport per aprire ai mercati occidentali, tant’è che dopo la Formula 1 presente da diversi anni in Bahrein e ad Abu Dhabi entro il 2023 ci sarà anche il Gp in Arabia, conseguenza del rally Dakar.  Ah, giusto per la cronaca, da dicembre 2019 si è volto anche il primo grande trofeo di tennis, la Diriyah Tennis Cup.

Ma lo sport servirà per accelerare il processo di uguaglianza in quei Paesi che non sono campioni dei diritti umani? Siamo sportivi, quindi siamo romantici, tutte le nostre azioni in tal senso appartengono alla franchigia delle emozioni.

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