martedì 14 Maggio 2024
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In ricordo di Montalbán: a tavola bruciando i libri

Come si celebra il ricordo di un grande scrittore? Mangiando le specialità del suo Paese (il cibo è cultura) e bruciando qualche libro indigesto.
Il rito è sacro. Unisce due leve della vita. La narrativa e la cucina. Il giallo (o il noir, come preferite, ma sempre di colori forti si tratta) e la tavola. E il binomio resta indissolubile. Galeotto fu certo il cult movie Invito a cena con delitto, la folgorazione sulla via della letteratura invece è arrivata poco dopo. Giunta fulminea e abbacinante come un pallone scagliato in rete. Fu l’incontro con Manuel Vázquez Montalbán, lo scrittore, saggista, giornalista, poeta e gastronomo spagnolo, appassionato come pochi dei blaugrana del Barcellona, nel romanzo Il centravanti è stato assassinato verso sera a esaltare quell’assioma, rafforzandolo poi con la passione calcistica, intendendo il calcio come fenomeno delle masse.
E se nella pellicola scritta dal commediografo Neil Simon e diretta da Robert Moore dove attorno alla tavola in una villa isolata si ritrovano tutti i più celebri detective che la letteratura gialla ha generato, nel romanzo dell’autore catalano troviamo quei topoi poi codici che hanno formato il noir mediterraneo, un mix di intrighi, misteri e delitti conditi con le ottime ricette che scaturiscono dalla culla della civiltà.
Certo, un’altra caratteristica del detective di Montalbán era quella di bruciare nel suo caminetto i libri. Pepe Carvalho, nei tanti momenti di riflessione, intercettava dalla sua fornitissima biblioteca un testo che in qualche modo gli aveva influenzato l’esistenza e, puffète, c’attizzava il camino. E le lingue di fuoco aggredivano quelle storie di carta e inchiostro che magari avevano generato sbadigli o accentuato emozioni. Una biblioclastia catartica, suvvia.
Così, il 18 ottobre di ogni anno si celebra nella mia umile dimora il rito. Si cena. Spagnolo, claro, e si bruciano libri, pure questo è chiaro. Per ravvivare oltre che il fuoco nel camino anche la memoria di uno dei più grandi autori e che ha in parte dirottato i miei gusti letterari e influenzato gli orientamenti narrativi: in onore di Montalbán, che proprio il 18 ottobre di tanti anni fa ha detto ‘ciao’ alla vita terrena.
Se il romanzo Il centravanti è stato assassinato verso sera è stato galeotto, il passo successivo è stato a ritroso, cercando e leggendo tutti i precedenti di quell’autore dal nome armonioso checchè ne dica la vita reale (e narrativa) piena di –formativi e opportuni- casini. Nello splendido Tatuaggio, il secondo romanzo dove compare Pepe Carvalho, ecco che il detective privato «si sorprese schiavo di una cultura che lo aveva separato dalla vita, che aveva falsificato la sua sentimentalità come gli antibiotici possono distruggere le difese dell’organismo». È qui che Pepe comincia l’opera di ‘pulizia’ che richiama facilmente i roghi hitleriani, prelevando dalla biblioteca i libri infondendo «il meritato castigo alle verità inutili che riuniva». E se è in trasferta, Pepe si reca in libreria, acquista tomi e poi gli dà vita accendendoli. Un luogo comune potrebbe farci increspare le labbra e ghignare che bruciare libri è «da fascisti». E quando Alma, l’amica argentina di Carvalho, che vedendolo gettare alle fiamme Tango. La canzone di Buenos Aires di Ernesto Sábato, cerca di frenarlo con gli insulti.
– Sei pazzo? Cosa sei, un fascista? I fascisti sono gli unici che bruciano i libri.
«Carvalho si consegna alla comodità di un sofà mentre accende un sigaro».
– È una vecchia abitudine. Ho letto libri durante quarant’anni della mia vita e adesso li brucio perchè non mi hanno insegnato a vivere.
– Quello che dici sembra di Julio Iglesias.
E questo ci fa tornare al sorriso.
Certo, bruciare libri non è fascista. È peggio. Appartiene ad altre amenità che hanno scandito la storia. Così andiamo dalle fiamme che hanno decretato la fine della biblioteca d Alessandria d’Egitto per ordine del califfo Omar con le sue illuminanti frasi («In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte») a quelle del falò delle vanità attizzate da Girolamo Savonarola (che subì, ahilui, la legge del contrappasso) passando per quelle ordinate dall’Inquisizione, fino ad arrivare a quelle liberate dai governi liberticidi come quelli di Pinochet in Cile e della junta militare in Argentina o a quelle imbevute di benzina e idiozia dei fanatici (perché gli altri che erano?!) dell’Isis che hanno riscaldato i libri della biblioteca di Mossul. Così, l’amara ironia distopica di Ray Bradbury (il pompiere Guy Montag scova con la sua squadra libri nascosti e li incenerisce) in Fahrenheit 451 non è solo letteratura.
Così, ieri sera, onorando la tavola (mi sono legato ai fornelli dalla mattina), ho preparato un menù spagnolo (paella valenciana, tortillas de patatas, tortillas de calabacìn, papas arrugàs con mojo picòn, alitas de pollo à la plancha, espinacas con pasas y piñones) innaffiato da litri di sangria. E gli invitati? Amici scrittori, che avevano l’obbligo di varcare la soglia di casa con un libro (qualcuno s’è lasciato prendere la mano, venendo con più di un tomo) da gettare nel caminetto. Io quale ho bruciato? Il libro di un autore che sensibilizza il mondo del suo nuovo parto narrativo ma non partecipa mai a incontri e dibattiti. Ah, il libro, da bruciare era un sonnifero. Ora, ho un posto libero in biblioteca. A breve cercherò di rimpiazzarlo.

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