martedì 14 Maggio 2024
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La guerra del Fùtbol tra El Salvador e Honduras

Il 30 ottobre del 1980 El Salvador e Honduras firmarono un trattato di pace per chiudere la disputa sui confini combattuta nella cosiddetta Guerra del calcio del 1969 davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Avete letto bene. La Guerra del calcio. Ma andiamo con ordine.
Una Guerra del calcio vera c’è stata, quindi, al di là dei propositi di battaglia urlati da allenatori e giocatori ala vigilia di match sportivamente importanti. Spesso i calciatori per enfasi quando vogliono caricare l’ambiente la sparano grossa: “sarà una battaglia” ululano digrignando i denti. Pensare che c’è stata per davvero. Quella guerra (mica scherzavo) che Honduras e El Salvador combatterono per 4 lunghi giorni, dal 14 al 18 luglio 1969. Lo so, molti di voi s’aspettavano che citassi la guerra tra Argentina e Inghilterra per il possesso delle Malvinas/Falkland. Nient’affatto, quella ce la ricordiamo tutti sia per la mano di Dio con cui Maradona irrise i leoni di Sua Maestà, sia perché parliamo di due nazioni comunque sulla bocca di tutti. Così per 4 giorni i due piccoli Stati centramericani si dichiararono guerra per una partita di calcio. Non è una battuta, ragazzi. Il giornalista polacco Ryszard Kapuściński nel suo saggio ‘La prima guerra del football e altre guerre di poveri’ passa in rassegna questa triste vicenda bollandola con una frase che ha fatto storia. «I due governi sono rimasti soddisfatti della guerra, perché per qualche giorno Honduras e Salvador hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e suscitato l’interesse dell’opinione pubblica internazionale. I piccoli stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue. Strano ma vero», così ebbe a dire/scrivere. Vabbè, direte voi, ma quale fu il casus belli? Mi ripeterò: una partita di calcio. Certo, le vere motivazioni della Guerra del Fútbol non vanno ritrovate in una partita di pallone (siamo proprio sicuri?) ma nelle relazioni socioeconomiche dei due Paesi. El Salvador si lamentava dell’assenza di uno sbocco adeguato sull’Atlantico rivendicando anche maggiore spazio sulla fascia costiera pacifica; non solo: in quegli anni la politica commerciale degli Usa, che appoggiava le dittature dei due Paesi e di gran parte degli altri Paesi latinoamericani per il pericolo rosso, si concentrò sullo sviluppo delle piantagioni di banane, convogliando però maggiori investimenti laddove già esistevano aree idonee, favorendo così i territori salvadoregni. El Salvador divenne nel breve un paese densamente popolato, creando sì benessere ma anche disoccupazione per l’eccedente manodopera agricola. Il governo di Fidel Sánchez Hernández così, per evitare sommosse, chiese aiuto all’Honduras, che non aveva certo manodopera qualificata e aveva vaste aree depresse non coltivate, anche per via di una politica miope del dittatore Oswaldo López Arellan. Fu così che nel 1967 intere famiglie di campesiños salvadoregni transitarono liberamente nella vicina Honduras, fino ad arrivare a 300.000 anime. Facile immaginare le tensioni sociali che si crearono: i salvadoregni invasero le terre degli honduregni, se ne appropriarono fino a quando il Ministero dell’Agricoltura decise nell’aprile 1969 di confiscare le terre ed espellere tutti coloro che avessero in Honduras proprietà terriere senza però possedere la natività nel Paese, contravvenendo anche a una convenzione internazionale stipulata con El Salvador. Ricevere 300mila profughi più poveri di quando erano partiti portò quasi al collasso il sistema salvadoregno. In questo clima di rapporti tesi il caso volle che si giocasse tra le due Nazionali la semifinale per accedere ai Campionati del Mondo in Messico, che si sarebbero disputati l’estate del 1970. Il match d’andata si giocò l’8 giugno 1969 all’Estadio Nacional di Tegucigalpa. La vigilia per la squadra salvadoregna fu da incubo: nella notte la squadra non riposò affatto per il frastuono dei tifosi honduregni, poi durante il tragitto allo stadio furono squarciate le gomme al pullman e in campo il clima definirlo intimidatorio è tutt’oggi considerato un eufemismo, tant’è che gli ospiti capitolarono a un minuto dalla fine. In Salvador, una diciottenne, Amelia Bolanos, sconvolta per la sconfitta dei suoi beniamini, si sparò un colpo al cuore. Lo sdegno dell’opinione pubblica salvadoregna salì fino in cielo, con la ragazza elevata a martire e la concessione dei funerali di Stato. Insomma, un clima per nulla amichevole attendeva a San Salvador la nazionale honduregna il 15 giugno.
La notte prima della partita l’hotel che ospitava la squadra avversaria fu preso d’assalto con una fitta sassaiola. In un clima infuocato poche ore prima del match i componenti della formazione honduregna furono scortati all’interno dei carri armati. Sugli spalti dell’Estadio de la Flor Blanca il clima era incandescente: gli incoscienti che avevano seguito la propria squadra furono aggrediti e si contarono due morti, centinaia di auto bruciate e decine di feriti. Pensare che l’Honduras giocasse quella partita è come mettere in campo undici poppanti pronti ad affrontare il Brasile di Pelè: El Salvador risolse la pratica già nel primo tempo rifilandogli tre reti, accreditandosi alla bella in campo neutro. Così le squadre si affrontarono il 27 giugno allo stadio Azteca di Città del Messico. Sembrò che i due Paesi dovessero risolvere le loro beghe sociali con una partita di calcio, tanta fu la partecipazione delle tifoserie che si riversarono in Messico. In uno stadio blindato da oltre 5.000 agenti di polizia le tifoserie vennero lo stesso in contatto, prima e durante la partita, un match decisamente aspro e grintoso, che vide la vittoria finale del Salvador ai supplementari per 3-2. Poi, al fischio finale si scatenò la guerriglia urbana per le strade di Città del Messico.
Alle 17.50 del 14 luglio 1969 l’esercito salvadoregno, senza alcuna dichiarazione di guerra, invase i confini honduregni, per tutelare i propri cittadini e i confini nazionali. L’aviazione salvadoregna invase i cieli dell’Honduras, bombardando, mentre l’esercito oltrepassò il confine penetrando con facilità per la netta superiorità militare, palesando anche i suoi reali obiettivi: impossessarsi di uno sbocco sull’Oceano Atlantico occupando il Golfo di Fonseca. La reazione honduregna fu affidata all’aviazione che colpì le aree industriali e i rifornimenti salvadoregni. A quel punto però intervenne l’Organizzazione dei paesi americani e ordinò il 18 luglio il cessate il fuoco, che non evitò comunque 6mila morti.

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