lunedì 29 Aprile 2024
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Il noir è mediterraneo anche a Buenos Aires

Il noir mediterraneo non è un genere ma uno stile letterario. Plasmato da una percezione, da un senso d’appartenenza, per intenderla alla Massimo Carlotto. Ha in sé il senso dell’inquietudine del noir, ma ha l’anima della mediterraneità, che non è circoscritta in un luogo ma –soprattutto nel tempo della globalizzazione- rimbalza in ogni luogo che la evoca: il cambio di angolazione del crimine, vittime e carnefici che si scambiano di ruolo, gli innocenti che non esistono, i cavalieri bianchi che sono macchiati di nero, il sesso passionale, e poi il vento, il mare, il sole, gli odori della cucina. Aglio, menta e basilico cantava l’aedo Jean Claude Izzo, ma consentitemelo c’è da aggiungere olio (d’oliva, naturalmente, con il burro è vietato cucinare). Che significa questo? Che se Fabio Montale avesse mangiato una bouillabaisse rivisitata sotto il sole di Buenos Aires o sotto gli aliti freddi di Oslo, credo che il lettore avrebbe trovato familiare l’osteria scalcinata della Boca o il locale alla moda di Puerto Madero.
E sì, perché il noir mediterraneo quanto è mediterraneo a Buenos Aires? Quanto lo è in un Paese che è cresciuto sensibilmente con i figli dei conquistadores e con la massiccia ondata degli immigrati tanos? E quanto lo è quando in cucina le influenze delle tapas e dei ristoranti sono palesi? Certo, qui il consumo di carne rossa è ancora forte, resta il marchio di fabbrica quando ti siedi a tavola, ma questo modus cibandi appartiene allo spirito donchisciottesco di chi cavalca. Il vino, poi, è immancabile (rosso o bianco si casca bene. Nella zona nord di Mendoza ci sono filari mica male). Lo stesso vate Manolo Montalbàn scriveva che il ‘cibo è cultura’. Insomma, sembra di stare seduto tra i carruggi genovesi, le mura pugliesi e gli scogli campani, tacendo di scorci andalusi o piazze marsigliesi o viuzze maghrebine. L’aria che si respira è pure quella. Afosa. Non sempre per merito dello Zonda, il vento che soffia secco e polveroso.
Ho vissuto quasi venti giorni a Buenos Aires. E il contatto con gli scrittori di novela negra è stato morbido. La durezza dei contenuti si scontra con la gentile accoglienza della gente, palesemente mediterranea. Lì il noir ha l’etichetta di rioplatense, dal nome dell’estuario che divide Argentina e Uruguay e che poi sfocia nell’Oceano Atlantico. Differenze con l’aria mediterranea? Beh. L’avrete capito che non è che ce ne siano molte. Anzi. Se di diritto la costa siriana, libanese, turca e marocchina appartengono alla mediterraneità, mi chiedo perché la costa degli hermanos argentinos non possa essere unita a quella nostra con un ponte di collegamento non solo spirituale.
Allora, pongo di nuovo la domanda. Che cos’è il noir mediterraneo? Quelle storie di inquietudine criminale che abbracciano i luoghi e le emozioni delle genti dove s’è sviluppata la culla della civiltà o quei luoghi dove –ma senza scomodare la moderna globalizzazione- il filo dell’eterna sfida tra Bene e Male, tra Eros e Tanatos –contaminandosi- vive anche a chilometri di distanza ma con uguali uomini, emozioni, storie e cibi?

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