domenica 12 Maggio 2024
HOME > FINIS TERRAE > La vita è un cerchio tra gli eterni conflitti

La vita è un cerchio tra gli eterni conflitti

A volte ci sono giorni che vanno ricordati. Sei davanti al mare e come insegnava Izzo, l’aedo del noir mediterraneo, ecco che l’idea di felicità diventa semplice. Certo, se poi sei nato e cresciuto anche accanto ai laghi sta a significare che il concetto di serenità si raddoppia. Hai davanti il moto perpetuo e continuo del mare e l’immobilità conciliante delle acque stagnanti delle pozze d’acqua. Chi è nato dalle parti di Latina, Sabaudia e San Felice Circeo è un privilegiato. Ha una natura ancora incontaminata da toccare con mani, con odori e sapori autentici, gelosi della propria indipendenza rispetto a cemento e ferro che dominano le moderne cerchie urbane e che riescono anche a influenzare i protagonisti delle sue strade. Il sale del mare è importante. Albert Camus diceva che le città s’approcciano dal mare, ti accolgono e ti cullano come fossero un dolce seno materno, aggiungo io. Latina non è così. Non s’è sviluppata sul mare, nel corso della sua breve storia lo ha calpestato, lo ha dileggiato e stuprato, mentre il Circeo tra parchi nazionali e robe da ricchi (tipo le ville sulla duna) ha preservato e in parte valorizzato il suo patrimonio. È da qui che nasce il conflitto, l’eterno contrasto. Eros e Tanatos. Amore e odio. È facile avere un rapporto conflittuale con Latina, la città che s’apre al mondo perché nasce sulle acque e che invece cerca di impaludarti con le sue spire alla sua terra immobile.
Il romanzo ‘Finis terrae’ nasce da qui. Dai contrasti che sanno di eterno, quelli intrisi di classicità, ma che poi si sviluppano su architetture narrative così tanto care all’oggi, battendo i sentieri dell’eterno conflitto tra Bene e Male, ma dove la visione non resta manichea, vola oltre gli elementari concetti aristotelici del dualismo, si caratterizzano per il confronto e per la sintesi. Se fossimo autentici studiosi della filosofia, non esiteremmo un attimo a definirle hegeliane. Non è un caso che il titolo ‘Finis terrae’ rimanda a quella lunga lingua di terraferma abbandonata nelle acque, dove il mondo è rappresentato dalla punta estrema dopo il cammino con tutt’attorno la linea dell’orizzonte. Facile abbracciare la metafora che è necessario andare oltre le colonne d’Ercole per la ricerca ontologica. Ed è qui che si muovono i personaggi della storia: chi cerca l’assassino di un tremendo delitto irrisolto, chi l’amore della sua vita, chi se stesso (di nuovo la filosofia spicciola della vita). E chi forse ricerca, il lettore intendo, soltanto emozioni e un po’ d’evasione. Eccolo qua il noir (tinteggiato di mediterraneo): fotografare la realtà non smettendo di fare cronaca (chissà perché i noiristi sono quasi sempre giornalisti col pallino dell’inchiesta), e quindi trattare di temi scottanti e delicati che il ‘quotidiano’ non ti permette per i rischi del mestiere, così largo a orditi fantasiosi che hanno poco di fantasioso e molto di reale. Per poter sensibilizzare e risvegliare le coscienze o semplicemente per denunciare. Utile, vero e interessante, scriveva quell’autore che di lettori –per eccesso di modestia- asseriva di averne pochini.
‘Finis terrae’ racconta di questi luoghi, racconta di delitti irrisolti di questa terra, racconta di sentimenti (quelle chiavi che sono dei grimaldelli eterni per sbrecciare nel cuore dei lettori). Ed è giusto così. Perché tutto parte da lì. Dal mare impetuoso e dalla calma irritante dei laghi. Dall’eterno conflitto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *